Calati juncu chi passa la china.
In una valle piccola e stretta scorreva un fiume sulle cui sponde crescevano piante e pianticelle.
Lì vicino si trovava un maestoso albero di ciliegio, ricolmo di frutti rossi.
Un giorno, una pianticella decise di fare amicizia con il ciliegio.
“Ciao, io sono Giunco qual è il tuo nome?” Chiese.
“Ciao, io sono Ciliegio e non parlo con un basso ed inutile cespuglio, tutto aggrovigliato in terra” rispose.
“E, soprattutto, non capisco perché ti abbiano piantato, qui accanto a me.”
“Per proteggerti!” Rispose il giunco. “L’acqua del fiume potrebbe straripare ed io sarò qui a fermarla.”
“Ah ah ah!” Rise sorpreso il ciliegio. “Tu? Così sottile e insignificante, che al semplice soffio di un battito d’ali di farfalla perdi l’equilibrio? Tu sarai capace di fermare la piena del fiume? Come sei patetico, giunco.” e si mise a ridere a crepapelle. Ah ah ah ah!
Il cespuglio di giunco subito s’intristì, forse era davvero un inutile cespuglio, non aveva quelle belle foglie come il ciiegio e non rgalava ai padsanti quei dolcisdimi frutti! Ma poi pensò:
“Io sono un giunco flessibile, ma anche forte e ci sarà un motivo se sono stato piantato qui.”
E così, ogni mattina all’alba, ad alta voce, ripeteva a se stesso:
“Io sono piccolo ma forte.
Io resisto, resisto, resisto.”
E um giorno venne la tempesta!
Il vento soffiava, la pioggia cadeva. Il vento soffiava ululando come una brstia ferita, la pioggia scrosciava, batteva, ma il giunco resisteva. 
Si chinò, il picvolo hiungo, fino a toccare l’acqua, sprofondò in essa …mentre la pioggia gli batteva forte sopra e la corrente del fiume lo trascinava quasi a volerlo strappare via.
Ma lui resisteva!
E con tanta paura, pensava al ciliegio, solido, ben piantato in terra, mentre lui, invece, tra le impetuose correnti era sballottato di qua e di là. E nonostante tutto non dimenticava di ripetere a se stesso:
“Io resisto, resisto, resisto!”
Passò la notte. Il vento si placò ed il sole con i suoi raggi irradiò di nuovo la valle di luce.
Il giunco, pian pianino, dolorante, sollevò la testa e dove aver fatto un profondo respiro esclamò: “Finalmente tutto è finito!“
Poi, si guardò intorno curioso e rivoltosi verso il ciliegio non lo vide.
Si stropicciò gli occhi per vedere meglio, ma l’albero di ciliegio non era più al suo posto.
Decise di chiamarlo:
“Ciliegio, Ciliegio, dove sei?“ Nessuna risposta.
Il giunco abbassò il capo triste e gli vennero in mente tanti dubbi. Dov’era finito il ciliegio così alto e possente? Era sparito durante la tempesta? E i suoi splendidi fiori che profumavano l’aria, perduti per sempre? Ed io, così piccolo e fragile, ero ancora vivo? Chinò il capo e pianse a singhiozzi.
“Suvvia, non devi prenderla così.”
Gli disse un piccolo passero, per consolarlo, posandosi sui suoi steli. “Per prima cosa, dobbiamo essere sicuri di cosa sia successo e ancora non lo siamo. Seconda cosa, guarda in alto, in cielo, non vedi l’arcobaleno dai mille colori? È sempre segno di cose buone. Credici!“
E con un colpo d’ali sparì.
Passarono i mesi e il giunco divenne sempre più alto e sempre più flessuoso. Adesso poteva vedere anche oltre l’argine del fiume. Nel terreno circostante scorse un piccolo albero di ciliegio ricolmo di fiori rosa, pieno di gioia si rallegrò e urlò:
“Ciliegio, Ciliegio, Ciliegio, allora la tempesta non ti ha distrutto?”
“No, mio caro amico, tu sei stato quello più forte ed io quello più debole. Il mio alto fusto splendido e maestoso non ha resistito alle raffiche della tempesta e si è schiantato al suolo. Ma grazie alla tua resistenza, io adesso sono vivo e posso di nuovo rifiorire. Sei riuscito a fermare le correnti del fiume in piena, con volontà e fermezza. Così, le mie radici, al riparo dall’acqua, pian piano si sono rinforzate e mi hanno permesso di nutrirmi e sbocciare. .
Sono ancora piccolino, ma crescerò alto come prima.
“Sì, cresceremo insieme uno accanto all’altro, proprio come prima.“ Rispose il giunco.
“Sì, cresceremo insieme, in bellezza, come grandi amici, con la nostra forza e con la nostra debolezza.”